REGNO DEGLI INFERNI
Adattato dal romanzo L’ultimo duello: Parigi, 29 dicembre 1386 di Eric Jager, il lungometraggio di Ridley Scott era incentrato sul progetto, un po’ uno scherzo o una falsa buona idea. Raccontare l’ennesima storia medievale e un duello storico (l’ultimo conosciuto in Francia) in più di 2h30 sarebbe potuto diventare presto noioso, soprattutto se il tutto fosse stato raccontato cronologicamente mescolando i punti di vista in un unico arco. Tranne che molto rapidamente, gli a priori cadono davanti L’ultimo duello grazie a un ingresso in materia di esasperante efficienza che sconvolge completamente lo spettatore.
In apertura sui primi secondi della battaglia all’ultimo sangue che vedrà sfidarsi Jean de Carrouges (Matt Damon) e Jacques Le Gris (Adam Driver), il film descrive immediatamente la brutalità a venire. La vita di questi due uomini sarà giocata con lance, spade e pugni in un’arena scrutata da un pubblico pronto ad assistere a un confronto selvaggio e soprattutto davanti a una donna, Lady Marguerite (Jodie Comer), vittima consegnata alla volontà di Dio.
Il falso coraggio
Questa donna, Ridley Scott, la filma apertamente come la terza partecipante a questo duello all’ultimo sangue grazie al montaggio parallelo di questa introduzione. Anche se gli uomini si adornano con la loro armatura, lei indossa un vestito su un fianco. Piuttosto un simbolo, il suo outfit quotidiano è quindi, allo stesso tempo, la sua armatura quotidiana, dimostrando in pochi secondi che la sua vita è una lotta permanente (soprattutto contro gli uomini).
Perché dietro questa brutalità fisica al centro di questo duello maschile, si nasconde una brutalità e una crudeltà sociale nei confronti di una donna (volto di molte altre), soggetta alle leggi in vigore e bloccata in un trio di cui non controlla il destino. E mentre il duello incombe, il film sceglie intelligentemente di tornare indietro, per sviluppare meglio i dettagli di questo conflitto, e soprattutto per capire i problemi reali.
Il vero coraggio
BATTAGLIA DEI SESSI
Qui sta la grande forza di L’ultimo duello : la sua narrazione. I tre sceneggiatori Matt Damon, Ben Affleck e Nicole Holofcener hanno deciso di raccontare la storia attraverso gli occhi dei tre personaggi coinvolti in questa vicenda, ovvero Jean de Carrouges in un primo momento, Jacques Le Gris in un secondo e infine Lady Marguerite.
Lungi dalla semplice ricostruzione di un evento storico, L’ultimo duello quindi giocaci Rashomon, Il grande film di Akira Kurosawa. A prima vista, seguire i tre punti di vista del trio, attraverso tre diversi capitoli che si mettono pienamente al loro posto, sembra un po’ facile, anzi soft. Ma al contrario, questo effetto è l’origine di una gemma di scrittura piena di sfumature e sottigliezze.
Un modo abile per confrontare meglio i punti di vista e le percezioni di tutti sull’accusa di Lady Marguerite, ovvero il suo stupro da parte di Jacques le Gris, nonostante sia sposata con Jean de Carrouges.
Questa triplice analisi del caso conferisce alla storia un potere straordinario. Durante i diversi capitoli (circa 40 minuti ciascuno), cambiano le versioni, cambiano le prospettive e si evolvono gli sguardi dei personaggi (così come degli spettatori sui personaggi). secondo le scoperte, le discordie, i sentimenti di ciascuno. Con l’erudizione i personaggi si sviluppano quindi a meraviglia, assumendo con il passare dei minuti sempre più peso e complessità, il modo in cui si descrivono non necessariamente corrisponde alla realtà dell’altro e viceversa.
Lo scenario è anche abbastanza intelligente da evitare troppe differenziazioni tra i diversi punti di vista. Questo potrebbe potenzialmente rendere il processo un po’ superfluo per alcuni (essendo le versioni davvero molto simili, alcuni potrebbero trovare l’intera cosa ridondante), ma questo mostra un po’ di più la finezza della storia, preferendo schierare le diverse versioni attraverso la sola (reale) percezione dei personaggi (e non la loro possibile bugia).
Così, senza sforzarsi di mentire, il personaggio di Matt Damon si vede molto più leale e amichevole di quanto non sia in realtà, quando quello di Adam Driver smentisce consapevolmente i fatti, pensando legittimamente di avere ragione e non aver violentato Marguerite (anche se il suo arco è inequivocabile). Peggio, i due uomini si considerano gli eroi vittime di questo conflitto anche se in definitiva sono i suoi carnefici oppressivi. Questa sottilissima sfumatura delle versioni sostiene poi l’intero senso del lungometraggio: solo lo sguardo di Marguerite conta in verità.
DONNA FORTE PROMETTENTE
Con questo audace concetto narrativo, Lady Marguerite ha finalmente il diritto di parlare che si merita. In questo conflitto storico, spesso (solo) si è trattato del duello tra i due cavalieri (e del beffato onore di Jean de Carrouges) e della loro opinione-visione-prospettiva sulla situazione, ma mai veramente di Marguerite , la vera vittima di questo stupro. Eppure, questo duello di palle in realtà nasconde quello di una donna contro il patriarcato, e purtroppo è l’ultimo… prima del prossimo.
In una società patriarcale e virilista, portare avanti la storia con questo punto di vista femminile offre infine a Lady Marguerite l’opportunità di dire la sua verità (considerata LA verità dagli sceneggiatori) e di dare al duello epico e violento che ne seguirà, un sapore molto diverso. Il discorso di Lady Marguerite è davvero un vero cataclisma e un’assunzione di rischi molto più grande del suo silenzio eterno.
Denunciando pubblicamente l’atto, affida il suo destino nelle mani del marito, la cui eventuale sconfitta la guiderebbe verso una morte atroce e dolorosa, soffrendo fino in fondo la situazione. E ovviamente, se la condizione delle donne si è evoluta dal XIV secolo, il lungometraggio risuona particolarmente con i nostri tempiil ruolo delle donne, il loro posto, il loro status, la loro voce… rendendo il tutto più commovente e rilevante.
Del resto, al di là di questo scenario modernissimo e delle sempre affascinanti riflessioni sulla religione, non l’avremo detto abbastanza, il cavaliere Ridley Scott sta facendo un abbagliante ritorno sul grande schermo. Dalla meticolosa ricostruzione della Francia del XIV secolo (una Parigi in piena costruzione) alle imponenti battaglie cavalleresche (che energia e che respiro) attraverso tutti i piccoli dettagli artistici che scandiscono la sua storia sapientemente costruita, la sua messa in scena è divina, prova dell’assoluta maestria della sua arte (ben aiutato dal prezioso montaggio di Claire Simpson e dal suo fedele direttore della fotografia Dariusz Wolski).
La divisione in tre parti distinte che narrano versioni opposte impone agli attori una gamma di giochi molto più ampia del solito, spingendoli al loro radicamento emotivo e fisico. Il trio principale impressiona così a tutti i livelli, visto che è costretto, a causa dello scenario, a cambiare atteggiamentotoni, gesti… a seconda del punto di vista proposto dalla storia.
In questo gioco, Matt Damon e Adam Driver, a turno, affrontano un memorabile duello finale di agghiacciante bellezza e sorprendente ferocia. Da parte sua, Ben Affleck è superbo come un bastardo del conte di Alençon, completamente a ruota libera in un’orgia perfetta. Ma non a caso, è buono Jodie Comer, in Lady Marguerite, che viene a rubare la scena nella pelle di questo personaggio umiliato, sincero e quindi affettuoso. Dopo aver fatto impressione in uccidendo Eva, l’attrice si distingue come una delle grandi attrici della sua generazione.
Non c’è da stupirsi che Ridley Scott lo abbia scelto per un certo periodo per interpretare Joséphine de Beauharnais (prima di sostituirla con Vanessa Kirby) nel suo futuro film biografico napoleonico precedentemente chiamato borsa del corredo e ora intitolato… Napoleone. Ridley Scott firmerà quindi un nuovo film sul peso di una figura cancellata anche dalla megalomania del marito. La routine di una Storia che è ora di mettere fuori uso.