La fine è notte
Nessuno si fa ingannare: Halloween finisce probabilmente non sarà l’ultimo Halloween. Lo ha ipotizzato lo stesso Jason Blum durante la promozione: sebbene per il momento non sia previsto nulla, non è nato lui quello che gli impedirà di riportare indietro il buon vecchio Michael Myers, purché abbia i favori del grande pubblico. Il film di Gordon Green mette piuttosto fine alla sua trilogia, ma soprattutto al confronto tra l’uomo nero e Laurie Strode iniziato da John Carpenter. The Shape dovrà ora (de)comporre senza la sua nemesi, almeno senza quella incarnata da Jamie Lee Curtis, che sembra aver finalmente finito con il franchise che l’ha resa un’icona.
E questo è più che sufficiente per rendere interessante questa conclusione. I primi due film hanno lottato per riprendere il trattamento di Carpenter del “male assoluto” per esplorarne le ripercussioni psicologiche a lungo termine sulla popolazione di Haddonfield e quindi su Laurie, simbolo di un profondo trauma. Il terzo finalmente permette a quest’ultimo di sorpassarlo ed eliminare così la minaccia di Michael non nella franchezza, ma nella sua mente. Maltrattato nel secondo opus, Gordon Green ovviamente non sapendo cosa farne dopo la versione del 2018, il suo personaggio rimane usato molto goffamente (la sequenza che apre il terzo atto è davvero strana) e rimane in secondo piano, ma diventa di nuovo la chiave di volta della storia.
“Sarah Conn… Uh, tornerò”
Una storia che, attenendosi a questo approccio molto metaforico, guadagna chiaramente in audacia. Piuttosto che una battaglia epica, il regista e Chris Bernier ci parlano di una guarigione, anche a costo di espellere la loro star mascherata da gran parte della storia, addirittura – terribile sacrilegio per i fan della saga – sottraendolo alla sua onnipotenza. Fin dall’inizio, Laurie sembra liberarsi dei suoi demoni, partecipando anche con entusiasmo all’atmosfera festosa di Halloween. Una pace interiore che incute rispetto, vista l’assurda conclusione della parte precedente.
Più che mai, Michael è una propaggine della psiche dell’eroina. Mentre lei si allontana dalla sua presa psicologica, lui si indebolisce e un altro male deve tornare a perseguitarla (il disprezzo e l’ignoranza degli abitanti della sua città), in modo che riappaia dal profondo, comunque sotto un’altra forma. L’idea sconcerta, ci nega l’auspicata carneficina, fatta eccezione per un omicidio ultra-gore, ma allo stesso tempo mina la dinamica che ha caratterizzato le grandi ore del film slasher: la tensione narrativa tra la ragazza finale e l’uomo nero, o mettendo in pratica il famoso schema narrativo antagonista/protagonista.
Invece di un combattimento finale pieno di sangue e budella, Gordon Green e il suo co-sceneggiatore scelgono di rivelare l’agonia di Michael Myers, figura mitologica dipendente dalle regole del genere di cui fu incoronato re. A riprova che per completare davvero una saga slasher bisogna smontarne uno per uno i prerequisiti, e questo con più rigore rispetto all’ultima. Grido.
La maschera della morte bianca
Il male muore stanotte
Sorprendente nel giustificare il ritorno di Michael e dei suoi omicidi, Halloween finisce si rimette rapidamente in carreggiata quando cerca di collegarsi ai temi social della nuova trilogia. Il suo mojo, “il male genera il male”serve tanto a riordinare i codici dello slasher (gli abitanti della città creano da zero il proprio uomo nero, risvegliando le ansie di Laurie e di conseguenza il male, il vero) quanto a aggiungere uno strato sulle psicosi collettive e sulla loro pericolosità.
Già dentro Uccideun riflesso un po’ troppo ovvio dei movimenti politici di massa americani, il futuro leader di L’esorcista non è andato lì con il dorso del cucchiaio. Finisce Nonostante non gareggi con la stupidità dei peggiori capovolgimenti della situazione del suo predecessore, non lesina sui dialoghi supportati, le situazioni forzate e i collegamenti legati un po’ troppo in fretta. Il personaggio interpretato da Rohan Campbell (un personaggio fisso della serie proiettato in un ruolo non facile), al centro della posta in gioco di questa terza opera e del trattamento molto particolare dei suoi antagonisti, ne sopporta il peso, bloccato in una relazione che è troppo poco caratterizzato con quello dei protagonisti.
Lungi dall’essere soddisfatto di disinnescare la rivalità tra Laurie e Michael, eppure la vera singolarità del lungometraggio, il cineasta si ostina a monopolizzare gli abitanti di Haddonfield per sostenere la sua dimostrazione, in modo che siano i personaggi di Uccide appena riutilizzati o nuovi arrivati, sono tanti strumenti completamente disincarnatiche non abbiamo nemmeno l’opportunità di vedere assassinato con brio, il principio di sceneggiatura che presiede il film rifiutando di essere generoso come quelli del 2018 e del 2021.
Ne è prova l’ultimo atto, che avrebbe dovuto controbilanciare la sua mancanza di originalità con il suo significato simbolico. Non solo arriva come un capello nella zuppa, ma né la messa in scena, né le reazioni dei personaggi, e nemmeno la musica si prendono la briga di dare un po’ di sostanza a un finale tutto sommato piuttosto contrattuale. Conta solo il sorriso pacifico di Jamie Lee Curtis, l’ultima ragazza così eminente che finì per ignorare la propria condizione. Grazie a lei!