Segnando un prima e un dopo nell’opera di M. Night Shyamalan, La fanciulla dell’acqua porta tutte le stigmate del film malato. Ed è sublime.
Sesto senso, Infrangibile, segni, Il villaggio. In soli cinque anni, M. Night Shyamalan mette insieme i film come un giocatore di basket metterebbe insieme tiri da tre punti dal centrocampo. Il paragone farebbe senza dubbio piacere al regista, che resta un grande tifoso dei Sixers, la squadra di Philadelphia, la sua città del cuore. Ma torniamo al suo gusto per il cinema. Insieme a La fanciulla dell’acqua, Shyamalan sta effettivamente adattando una storia che lui stesso ha immaginato per le sue figlie. Una storia che all’epoca traspone anche in un libro, con l’aiuto dell’illustratore Crash McCreery, responsabile del design delle creature del film.
Un progetto molto personale quindi che il regista propone spontaneamente ai produttori esecutivi della Disney, e in particolare a Nina Jacobson, che lo accompagna da allora Sesto senso. Ma le sue speranze vengono rapidamente deluse quando i suoi interlocutori rifiutano del tutto lo scenario, affermando “non capisco niente“. Certo, non si tratta di fermarsi qui per il regista. Non solo la Warner Bros accetta di produrre il suo film e il giornalista, Michael Bamberger, lo consulta per raccontare il suo burrascoso divorzio con l’azienda dalle grandi orecchie in il lavoro L’uomo che ha sentito le voci: o come M. Night Shyamalan ha rischiato la sua carriera per una fiaba e ha perso.
Alla sua uscita, La fanciulla dell’acqua sguazzato al botteghino mondiale, ripagando a malapena il suo budget di 70 milioni di dollari, per non parlare della marea di recensioni disastrose che ha ricevuto e dei suoi tre Razzie Awards (gli anti-Oscar che celebrano il peggio del cinema). Di fronte a questa ingiustizia, una sola opzione: continuare a difendere questo magnifico racconto di Shyamalan.
Fiducia per fiducia
IL BAMBINO CHE DORME
In omaggio alla tradizione orale delle storie e al ruolo di narratore che lui stesso ha assunto con le figlie, il regista affida la presentazione della mitologia del suo film a un narratore onnisciente. Durante un breve prologo, una voce solenne pone le basi dell’universo inventato da Shyamalan. Si tratta quindi di creature acquatiche, che cercano disperatamente di entrare in contatto con gli esseri umani. Un contesto introdotto in parallelo attraverso una serie di illustrazioni animate, che sono tanto dipinti preistorici quanto schizzi di bambini.
Dall’eredità ancestrale all’immaginazione dei bambini, spesso c’è solo un passo e questo è tutto La fanciulla dell’acqua. L’eroe, Cleveland (Paul Giamatti, eccezionale), portiere di un edificio residenziale, è proprio combattuto tra questi due poli. Più cerca di capire le ragioni della presenza di Story (Bryce Dallas Howard), la ninfa apparsa nella piscina della residenza, più dovrà mostrarsi responsabile e innocente di fronte agli eventi. Questo è ovviamente il significato della scena in cui si sdraia su un divano, imitando il ragazzino dispettoso, così che un’anziana signora di origine coreana, depositaria della conoscenza, accetta di raccontargli il resto della storia. .
Dopo Alice, ecco Story dall’altra parte dello specchio
Rispettare i codici mitologici richiede mantenere una mente aperta per i personaggi e la loro regressione quasi infantile può aiutarli a farlo. Shyamalan imposta così vari rituali la cui configurazione giocosa evoca certi giochi da cortile. È in particolare questa scena in cui Cleveland tiene uno specchio sulla spalla per sorprendere, alle sue spalle, il formidabile Scrunt, un lupo vegetale (è tutto nuovo, è appena uscito) lanciato all’inseguimento di Story. O questa roccia capace di curare la ninfa, che va ritrovata in un luogo segreto, come una caccia al tesoro.
È in questi momenti che Shyamalan si riconnette con la sua vena più candida, già all’opera segnicon i suoi cappucci in alluminio per esempio. Candore che presuppone – e questo è tutto il paradosso – una certa saggezza. Da qui questi movimenti ascendenti della telecamera, che si verificano regolarmente nel film, simboleggiando in un certo senso il risveglio spirituale dei personaggi e la loro ascesa a una dimensione superiore, quella in questo caso di miti e leggende.
OSMOSI E MICROCOSMO
A differenza del suo film precedente, Il villaggiosceglie il regista, con La fanciulla dell’acqua, per una visione unitaria del collettivo, e se è di nuovo interessato a un gruppo che vive in autarchia, il fuori qui non esiste. Questa residenza è l’unico orizzonte offerto ai personaggi e nessuno di loro sente il bisogno o il desiderio di evadere da essa. In effetti, questo vincolo geografico conferisce a questo ambiente un significato particolare, l’edificio diventa una società mondiale, multiculturale, dove le identità più singolari convivono in perfetta armonia.
In quanto tale, l’eterogenea galleria di personaggi a volte spinge il cursore della farsa fino alle sue ultime trincee. E inizia alla fine del prologo, durante un’improbabile scena in cui Cleveland lotta contro una creatura, tenuta fuori campo, sotto le grida terrorizzate di una famiglia latinoamericana. Un’esuberanza a cui Shyamalan non ci aveva proprio abituato fino ad allora, e che contribuisce al fascino pittoresco del film. Il regista gioca quindi con stereotipi etnici o semplicemente narrativi per sostenere al meglio la diversità delle personalità, tutte essenziali per la realizzazione della storia.
È qui che il dispositivo meta-immaginario di La fanciulla dell’acqua ha senso. Mentre il racconto a cui Story appartiene prende vita nella realtà, Cleveland e gli altri residenti si ritrovano a incarnare figure diverse anche dalla storia mitologica, tra cui il guaritore, il guardiano, la gilda o il simbolista. Occorre ancora sapere come attribuire questo o quel ruolo al suo legittimo destinatario. Lo spettatore si lancia quindi, come i personaggi, in questa parte di “Chi è?” a grandezza naturale, con la sensazione di assistere allo sviluppo della trama in tempo reale.
In sostanza, Shyamalan conduce sempre i suoi eroi all’epifania, quel momento di rivelazione al mondo e a se stessi.e per questo motivo, l’esempio di David Dunn in Infrangibile è tutto trovato. Qui, invece, la ricerca dell’identità non è una questione sotterranea o inconscia, ma anzi la motivazione primaria dei residenti. E ancora, non si tratta di ego, ognuno agisce prima nell’interesse della ninfa, per aiutarla a tornare a casa, una volta compiuta la sua missione. Un idealismo che molti hanno deriso, mentre altri, purtroppo in minoranza, hanno visto in esso la più bella professione di fede del suo autore.
NIENT’ALTRO CHE CATARSI
Scoprendo chi sono, anche i personaggi di Shyamalan trovano la strada per la guarigione. Dalla tragica scomparsa dei suoi cari, Cleveland è diventato un anonimo tuttofare balbettante. Per quanto riguarda Story, non è pronta ad assumere lo stato che ha scelto, come vuole la leggenda. È attraverso la fede in un futuro più radioso e pacifico che entrambi riusciranno a superare i propri difetti e quindi a salvarsi a vicenda.
Ma se c’è una crisi, è piuttosto da trovarsi dalla parte di un altro residente, uno scrittore interpretato dallo stesso regista e i cui testi dovrebbero ispirare un futuro grande leader. Nell’interpretare questo ruolo, Shyamalan svolge il proprio esame di coscienza con una lucidità che quasi rasenta l’autosabotaggio. “Ci sono molte cose che ho scritto che alla gente non piaceranno. Non ho pretese, non credo di avere niente di speciale“, confessa davanti alla telecamera. Megalo, hai detto? Niente è meno certo.
Quindi sì, c’è il personaggio del critico disilluso e cinico, il cui nome, Harry Farber, evoca con incisiva retorica un altro critico americano, Manny Farber, scomparso nel 2008. La polemica che ne è seguita ha suscitato molto inchiostro, soprattutto sulla morte del personaggio, che Shyamalan avrebbe sacrificato per regolare i conti con la professione. Ma la scena in questione lo consente soprattutto al registasostenere il trionfo della finzione sulla realtà ordinaria. È proprio nel momento in cui Harry Farber volta le spalle allo Scrunt, e quindi all’immaginario, che si condanna e contemporaneamente permette al fantastico di propagarsi.
Quindi inizia l’ultimo atto. Scoppia la tempesta e compaiono nuove creature, prima i Tartutics, scimmie ricoperte di rami, poi il Great Eatlon, un’aquila gigante, mentre vola via la musica di James Newton Howard, senza dubbio la sua più bella colonna sonora per Shyamalan (dai, legato con Il villaggio). All’inizio del film, Harry Farber si chiedeva: “Che cosa hanno tutti per perdere tempo a parlare sotto la pioggia al cinema?“. E Cleveland gli rispose: “Potrebbe essere una metafora della purificazione“. Uno scambio a cui necessariamente pensare durante l’esito, che convalida l’ipotesi dell’eroe con infinita tenerezza e grazia.
Nonostante i suoi detrattori, La fanciulla dell’acqua è l’apice sperimentale e miracoloso della filmografia di Shyamalan. Un film dedicato al potere della narrazione, attraverso il quale il regista sceglie di credere, contro ogni previsione, nel potenziale che risiede in ognuno di noi. Un progetto del genere accade solo troppo raramente nella vita di un regista. Quindi, non esitate a riconsiderarlo al rialzo, questo film se lo merita!