Film rivoluzionario, divenuto raro e poi addirittura invisibile, La madre e la puttana beneficia infine di un restauro. E tu non sei pronto. Sia la perfetta incarnazione dei tropi di un certo cinema d’autore sia l’esplosione di tutti i codici in vigore, il monumento creato da Jean Eustache merita urgentemente di essere riscoperto.
Ci sono molti che, non avvicinandosi mai a 7 km da un film francese, lo immaginano così una fila di luoghi comuni parigini, uno spiedo di pensum filosofico-mondani dove anime tristi converserebbero all’infinito delle cose di merda, infilandosi i capelli davanti a tristi telecamere, nelle suite di vasti appartamenti germanopratin. Un cliché assurdo, ma a cui sarebbe facile attaccarsi La mamma e la puttanapoiché tutte le specificità del film sembrano rispondere proprio a questi stereotipi.
Una storia intima, girata in gran parte al chiuso, che lega un uomo, la sua compagna e la sua amante, attraverso lunghi dialoghi a volte eminentemente letterari, per quasi quattro ore, il lungometraggio costituisce tuttavia un punto di rottura essenziale nella storia. uno shock la cui audacia e impatto si fanno ancora sentire, mezzo secolo dopo una presentazione al Festival di Cannes che si è trasformato in un vero tornado. Ma perché questa proposta, non necessariamente coinvolgente sulla carta, è rimasta così leggendaria, per così tanti spettatori, cinefili, sceneggiatori, attori e registi?
Un piano alle 3:40
NELLA LEGGENDA
Alcuni conoscono l’usciere, altri il segretario. È il caso di Jean Eustache, la cui moglie lavora Quaderni di cinema. Questo cinefilo usa i banchi della Cinémathèque ogni fine settimana, lavorando settimanalmente come operaio specializzato presso la SNCF, lavoro che ha trovato dopo aver ottenuto il CAP come elettricista. Così è frequentano i giovani turchi della New Wave, fino al legame con Rohmer, Douchet, Godard, Paul Vecchiali o Jean-Pierre Léaud. Tanto che troviamo il giovane sui set di quest’ultimo già nel 1962, ad osservare, assistere, dare una mano.
A poco a poco si forgia il desiderio di un regista, un universo di estrema singolarità, ma la cui realizzazione non è affatto scontata. Navigando tra autofiction e documentario, Eustache dirige i suoi primi cortometraggi e mediometraggi. Suo vicinanza ad alcuni grandi nomi del cinema francese gli assicura una micro-visibilità all’interno dell’intellighenzia parigina, ma poco di più. C’è da dire che il nativo di Pessac non beneficia come i suoi mentori o amici di una precedente carriera giornalistica che lo avrebbe consacrato un osservatore identificato del mezzo cinematografico, e quindi fatica ad essere identificato come un regista in divenire.
Un film con belle persone
Eustache vorrebbe fare un lungometraggio, ma niente funziona. Il ricorrente beneficia tuttavia della benevolenza dei suoi coetanei, se ne accorge così nel 1965 Babbo Natale ha gli occhi azzurriin parte grazie ai ritagli del film Maschio femmina di Jean-Luc Godard. Ma la sua carriera sta scivolando, come la sua stessa esistenza in cui si intrecciano divorzio, storie d’amore sotto forma di un vicolo cieco e difficoltà nel trasformare i suoi successi nel formato del corso in ambiziosi progetti di lungometraggi.