I capolavori non invecchiano, o molto poco. La prova ancora con Antiche leggende cecheun film d’animazione del 1952 di potenza e bellezza quasi immutabili.
Oggi l’opera di Jiří Trnka è caduta in disuso in Occidente. Questo tuttofare dai mille talenti (tra gli altri disegnatore, scultore, autore e regista) ha comunque partecipato a la fama internazionale del cinema d’animazione ceco dopo la seconda guerra mondiale gareggiando in genio con la sua creazione di burattini, un’arte piuttosto marginale di cui è un maestro in passato.
Dopo aver vinto il Gran Premio Internazionale per i cartoni animati alla prima edizione del Festival di Cannes con il cortometraggio Piccoli animali e banditi, quello che fu presto soprannominato “il Walt Disney dell’Est” arrivò ai suoi primi lungometraggi. Se condivide la stessa predilezione per l’animazione e i racconti – avendo illustrato in particolare quelli dei fratelli Grimm o di Charles Perrault -, Jiri Trnka si è subito distinto dalla sua controparte americana offrendo una gamma più ampia di generi narrativi, alcuni dei quali meno accessibili al pubblico giovane, come in Antiche leggende ceche.
Anche se è stato eclissato dall’uscita di Peter Pan dall’altra parte della cortina di ferro, questo quarto lungometraggio del 1952 rimane un’impresa artistica impressionante e sorprendente, che è stata comunque realizzata su iniziativa dell’ex regime comunista cecoslovacco. Elogiando la grandezza mitologica del popolo ceco e dei suoi padri fondatori, il film non sfugge alle insidie del romanzo nazionale elogiativo. Ma fermarsi a questo altisonante patriottismo sarebbe mancare tutto ciò che il film ha brillantemente trasceso, dai suoi vincoli tecnici alle sue poste ideologiche.
Un film di grande ricchezza
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Antiche leggende ceche trova un equilibrio e un’armonia tra l’eredità teatrale e pittorica di Jiri Trnka e le sue ambizioni cinematografiche. Nel 1936, prima di dedicarsi all’animazione, l’artista creò un teatro di marionette che non sopravvisse all’inizio della seconda guerra mondiale, ma influenzò gran parte della sua filmografia, così come le sue numerose opere di pittura e disegno.
Oltre alla notevole meticolosità nella realizzazione dei pupi – e in particolare alla miniaturizzazione dei loro accessori e dell’ambiente che fa leva sulla sua esperienza di decoratore e costumista teatrale -, il film è ricco di inquadrature composite come i dipinti, la maggior parte delle scenografie essendo dipinto direttamente su vetro.
Il ritmo è lento, le scene si allungano (permettendosi anche qualche rallentatore) e le bambole chiaramente non hanno l’iperattività dei personaggi dei cartoni animati americani. A dare energia al racconto e controbilanciare la stasi dei protagonisti, il regista dunque moltiplicò le tecniche di messa in scena e sfruttò tutte le possibilità offerte dal mezzo. Numerose inquadrature laterali e in avanti ampliano lo spazio e rendono le transizioni più fluide, ma aggiungono anche profondità all’immagine, soprattutto quando la telecamera gioca sulle prospettive per sprofondare nelle lussureggianti foreste della Boemia.