IL MONDO DOPO PRIMA
Dopo oltre dieci anni di sconfitte narrative e artistiche, il cinema d’intrattenimento americano non dovrebbe più sorprendere per la sua mediocrità. E ancora, Jurassic World: Il mondo dopo raggiunge l’impresa di stabilire nuovi standard nella fiera industriale e si impone come un film putrefatto dalle zanne alla fine della coda. Una carogna che gli archeologi del futuro esiteranno senza dubbio a scavare tra 65 milioni di anni. L’elenco è lungo, ma proviamo a stabilire come un film che si annunciava, nel peggiore dei casi, come una ricreazione preistorica e regressiva, potesse diventare in questo modo necrotico.
Cominciamo con il primo passo essenziale di ogni lutto degno di questo nome: l’accettazione. Nonostante il titolo, tutta la sua promozione, le interviste ai suoi autori e la conclusione della puntata precedente, il film non parla di un mondo sconvolto dalla presenza dei dinosauri. Peggio ancora, fa di tutto per evitare di dover affrontare il problema. Dopo un’introduzione incapace di lavorare adeguatamente sulle nozioni di prospettiva o gigantismo (perché mai questi dinosauri non sono quasi mai sugli stessi piani degli umani con cui si confrontano?), è tempo di svelare cosa accadrà negli intrighi.
Sam nega
O una palla ridicolmente confusa che mette fianco a fianco l’ipocrita caricatura dei brutti capitalisti della Silicon Valley, l’ansia ecologica… e ricreazione ex nihilo di un finto parco giurassico. Sì, i nostri brutti ricchi di oggi hanno il grande progetto diabolico di sfruttare le potenzialità dei sauri che quindi raccolgono… in un recinto chiuso. Certo, ci vuole un’ora buona prima che la storia ci rinchiuda, ma non contare su quanto sopra per placare la tua sete di un’apocalisse di dinosauri.
Fatta eccezione per qualche insetto sulla neve, un inseguimento maltese dalle prospettive tragicamente bloccate e un mercato sotterraneo così ben nascosto che anche le comparse sembrano ignare della sua esistenza, il blockbuster ha scelto di calpestare la sua promessa originale. Il dito medio è tale che la sceneggiatura non si azzarderà mai ad esplorare le entusiasmanti strade aperte dal cortometraggio promozionale scoperto prima della crisi sanitaria. Abbiamo scoperto, grazie a una messa in scena rigorosa ea effetti speciali di grande effetto, che la presenza dei dinosauri ha avuto un impatto specifico su alcuni settori della società americana. Se il film di Colin Trevorrow decide di basarsi su un suo concept, cosa ci offre invece di quest’ultimo?
Decorazioni molto belle
AMICI AMICI
La notizia non è uno scoop, Jurassic World: Il mondo dopo intendeva anche riunire il cast originale di Jurassic Park e indivia allevate in batteria dal riavvio del 2015. Ma anche lì, la delusione è grave. Perché nessuno dei personaggi originali è presente sullo schermo. Certo, Sam Neill, Laura Dern e Jeff Goldblum sono stati filmati, nelle repliche dei loro costumi del 1993, ma nessuno si è preso la briga di dare loro un ruolo.
Alcuni soffrono di problemi di assoluta banalità poiché sono stati strizzati da sciami di blockbuster (fare una famiglia, riconnettersi con un ex…), quando le loro motivazioni non sono del tutto simili al film originale del 1993. Ridotti a caricature di se stessi, devono fare i conti con una scrittura che cerca di accoppiarsi un gonfio ricordo degli eroi di ieri alle enormi incongruenze nella storia di oggi. La prima vittima non è altro che Malcolm, che compare dopo aver starnutito. Trasformato in un leggero deficiente, meta-commento della celebrità Goldblum, deve lottare con una partitura in totale contraddizione con la logica interna del suo personaggio.
Lo stesso vale per Wu, un anonimo ex laboratorio trasformato in genio del male, ora trasformato in un informatore dai capelli unti. Ci sentiamo bene, in questa voglia di riportare indietro anche i secondi contundenti di coltello mondo giurassico – pietosamente visualizzato su uno sfondo – un desiderio soddisfare un fan in attesa di una grande riunione di famiglia. Anche se le sue membra non erano state imbottite e riempite di pus preistorico per l’impresa di sedurci.
Festa del cazzo dei dinosauri
Film fantasy, personaggi… va tutto bene, ma alla fine non guardiamo mondo giurassico soprattutto da irrorare con un’orgia spumeggiante di dinosauri? In primo grado, è l’unico motivo di soddisfazione di questo Mondo dopo. Ci troviamo una quantità e una varietà piuttosto impressionante di dinosauri. Più che in qualsiasi film della saga, la minima scenetta è l’occasione per introdurre una nuova specie, per lanciarla sulla scia di sfortunati doppi digitali, mentre i numeri dei sauri si rivelano più muscolosi rispetto ai capitoli precedenti.
I pazzi dei teropodi in fuga proveranno una gioia infantile mentre sfilano atrociraptor, giganotosaurus, pyroraptor, quetzalcoatlus o altri therizinosaurus, prima che un dimetrodonte notturno venga a solleticare gli archi delle imitazioni comparse con le sue zanne. Tuttavia, queste ripetute incursioni di titani antichi lasciano quasi sempre l’amaro in bocca. Potremmo essere lontani dal disastro tecnico del primo mondo giurassicola regressione numerica operata da allora Regno caduto a volte ti lascia senza parole. Lo testimoniano queste sequenze innevate, dove Blue sembra essere stato comunque incrostato, oi tanti inseguimenti, omaggio involontario al Blob del 1988, tanto il loro taglio si trasforma a volte nell’informe globli-boulga.
Ma è soprattutto la drammaturgia delle loro apparizioni che rasenta l’emorragia cerebrale. Pensiamo a questo sinistro bestiario, le cui specificità talvolta variano all’interno della stessa sequenza, alla maniera di un imbarazzante recinto, caratterizzato come una creatura con vista a mezz’asta, ma con altri sensi perfettamente acuti, incapace di seguire un essere umano discreto come un maialino in ketamina. Vorremmo salvare qua e là un piano, un’idea, ma il taglio non sembra mai essere in sintonia con le rarissime proposte del film.
La sceneggiatura rifiuta, più di ogni altro episodio precedente, di sacrificare i suoi personaggi, masticando solo un extra digitale, un vago subalterno, e il suo grande cattivo, una sorta di stoma modellato per evocare Steve Jobs. Dal momento che il film si rifiuta di mettere in atto la minima minaccia che è un po’ convincente, ogni scontro tra sauri si trasforma in un inseguimento. Il dispositivo è ripetitivo da morire, ma potrebbe, davanti alla telecamera di un regista esperto, suscitare un certo interesse. Sfortuna, è Colin Trevorrow che comanda.
ANCHE COLIN TROPPO TROPPO
Ci sono registi il cui stile sarebbe difficile da definire, ma il cui lavoro è stato più di una volta quello di un solido artigiano, di un affermato narratore, capace di realizzare progetti complessi, senza apporre una firma con una pinza, ma assicurando al suo pubblico la rispetto che gli è dovuto. Così, orafi come Joe Johnston, Ron Howard o in misura minore Jon Favreau hanno recentemente ricordato chegarantire il capitano di un blockbuster richiedeva versatilità oltre che una certa maestria. Due qualità del tutto assenti dalla messa in scena di Trevorrow.
Assolutamente nessuna sequenza, nessun piano, ha senso. La gestione dello spazio è perennemente fragole (sono innumerevoli le scene in cui i movimenti dei personaggi rasentano l’assurdo). Ma soprattutto, il regista sembra non avere la minima idea di dove posizionare la sua macchina da presa. Che punto di vista offre allo spettatore? Come massimizza la dimensione spettacolare? Come orchestra l’ascesa della sua orgia mesozoica?
Tante domande che ci sarebbe piaciuto vederlo porre. E invece no, l’autoproclamato erede di Steven Spielberg (proprio come il primo proctologo disceso dai pionieri della speleologia), preferisce trasformare il suo film in un nuovo remake di Jurassic Park. Riproduce così tutte le scene cult immaginate da Spielberg… un gioco pericoloso, poiché è rischioso per un piercing alla placenta affrontare Rafael Nadal a braccio di ferro.
Instancabilmente, il nostro brunito Colin rievoca entità divenute famose, sottolineando qui la sua incapacità di scandire il ritmo dell’azione, là l’insensatezza del suo montaggio, quando non si impone con forza come uno degli intrattenitori più incapaci della sua epoca. La regolarità kamikaze con cui sguazza in una miriade di strizzatine d’occhio al tifoso suscita rispetto, sia l’azienda non cerca nemmeno più di nascondere la sua sterilità radioattiva. Negando la sua promessa iniziale, vomitando tutto ciò che afferma di essere all’altezza, Jurassic World: Il mondo dopo si impone come il palcoscenico terminale della metastasi hollywoodiana.