MORTO ALL’ARRIVO
Nel bosco, mentre andava a scuola, Rudi vide qualcosa. O qualcuno. Qualunque cosa fosse, la sua scoperta ha segnato il bambino abbastanza profondamente da trasformare la sua vita quotidiana in una piccola città della Transilvania un lungo fiume di ansie irrefrenabili. Ansie che sconcertano sua madre, così come suo padre, Matthias, tornato dopo aver vissuto per mesi a Berlino come lavoratore distaccato.
Le storie veicolate da Cristian Mungiu, ambasciatore del cinema rumeno da appena due decenni, hanno sempre cercato, esplorato contraddizioni che minano il corpo sociale, anche a costo di spingerlo in una forma di terribile autopredazione. Rivolte non dette, represse o compromessi insolubili, il suo cinema ha sempre preso il polso della società rumena. Ma se dal 2002 si occupa alternativamente di aborto, dei legami talvolta stretti tra religione e superstizione, o anche di disposizioni irragionevoli che appesantiscono la scala sociale del suo Paese, sarebbe sbagliato descrivere l’autore come un sofferente ascetico.
Il miracolo economico tedesco
L’atmosfera irrequieta che ha sempre portato i suoi film è overdrive NMR. Tuttavia, a prima vista, il tutto sembra volerci afferrare per la precisione e il rigore quasi documentaristico con cui affronta uno specifico problema umano ed economico, ovvero il movimento di separazione sperimentato dalle regionila cui popolazione maschile attiva emigra per lavorare in altri paesi dell’Unione Europea, costringendo la propria località di origine ad “importare” lavoratori, spesso accolti in un clima di tensione, anche di vero e proprio razzismo.
Il soggetto è complesso, ultracontemporaneo, mentre le condizioni di ripresa del film (nel pieno della crisi sanitaria internazionale) lo costringono, a priori, a optare per apparecchi scenici leggeri, il più vicino possibile alla realtà. O la ricetta di una secchezza spesso caricata da un pubblico che ama rimproverare i “film rumeni”, anche se raramente ha l’opportunità di scoprirli. Ma NMR smentisce ogni aspettativa: la nuova creazione di Cristian Mungiu è una delle proposte cinematografiche più potenti, traboccante di idee e di stile che abbiamo visto per molto tempo.
Cosa ha visto che avrebbe fatto impazzire un altro?
IN QUESTO POSTO, ORSI
La forza primaria di NMR è fingere un gesto naturalistico, di cui si può intuire che la fotografia, come le scenografie, fa il massimo uso di elementi reali, per lasciare che un senso di drammaturgia (che mutua volentieri dal realismo magico, anche horror) si insinui come un lento veleno. Lo dimostrano questi colpi statici che non potevano essere altro che innumerevoli pallini grigiastri, ma di chi la stranezza finisce sistematicamente per impressionare. Il mondo in cui abita Matthias è saturo di violenza, inquinamento che ha contaminato l’esistente molto prima che il nostro antieroe iniziasse la sua via crucis. Dall’apertura, la pallida luce del mattatoio, il suono sordo dei colpi sulla carne devitalizzata del bestiame… tutto concorre per condurci con piccoli, ma irresistibili tocchi in una realtà viziata e contaminata.
Davanti ai nostri occhi, la Transilvania di Mungiu si sta svitando, andando fuori uso e diventando più complessa. Il titolo dell’opera ci interessa poiché può essere inteso sia come un quasi acronimo di “Romania”, sia come traduzione rumena di IRM. Esame a cui si sottopone il padre del protagonista. Vecchio dall’aspetto pacifico, armonioso, la cui salute sta peggiorando, la sua corpo che marcisce dalla testa. E suo figlio a scrutare, tra orrore e fascinazione, le istantanee del suo cervello, come a scoprire qualche insondabile segreto.
È in questi momenti sospesi che lo stile di Mungiu è più riconoscibile. Distinto, ma non certo in un gesto di ripetizione, perché raggiungendo per la prima volta un grado di incandescenza e un potere evocativo che fanno di questa favola amara un oggetto cinematografico puramente sensibile, difficile da catalogare. Conosciuto per un uso rigoroso e talvolta sbalorditivo di riprese in sequenza orchestrate attorno a un’inquadratura fissa, il regista offre qui una serie di momenti allucinanti. Il più scontato rimarrà un consiglio comunale (non proprio fucina di romanticismo sul grande schermo) durante il quale, grazie a un’ambientazione unica, esploderanno tutte le cattive passioni che affliggono i personaggi.
L’immagine è composta attorno alle mani annodate di due amanti clandestini, che interpretano contemporaneamente il loro futuro romantico e professionale. Intorno a loro si sono presto sollevati interrogativi e invettive, alcuni abitanti chiedevano la partenza dei lavoratori stranieri, un’altra parte temeva che il loro sgombero sarebbe stato accompagnato da violenze razziste, mentre minacciava il fragile equilibrio economico della regione. Gli argomenti si fondono, le facies si intersecano, si fissano e si contorcono. L’espediente potrebbe essere solo un avvenimento austero, se Mungiu non fosse riuscito, in questa cornice attraversata dal coraggio di questi attori della durata di 18 minuti, a trasformare improvvisamente tutto lo spazio filmico in una terrificante dimensione carceraria.
IL GIORNO DELLA BESTIA
Finalmente più autopsia che visita medica, NMR dipinge un quadro terribile della Romania. Tuttavia, sia la sceneggiatura che le riprese sono attente a non trovare facili colpevoli o monocromatico con la putrescenza che minaccia da tutte le parti. Viene messo in evidenza il liberalismo disumano, senza nascondere quanto la cattiva volontà individuale o il desiderio di fuorviare certi espedienti siano almeno altrettanto responsabili del progredire dell’odio. Nessuno sfugge né alla luce né all’oscurità.
Matthias non è un uomo ostile ai lavoratori stranieri di cui condivide la condizione, ma l’idea che la sua padrona lo stia aiutando risveglia in lui una mascolinità dominante e predatrice. Il sacerdote vorrebbe radunare il suo gregge nella pace e nell’amore per il prossimo. Del prossimo, ma non di Sri Lanka è disposto a sacrificarsi per salvare la sua popolarità. Csilla sogna il violino e l’emancipazione, ma resta l’esecutore testamentario dei lavori di base di un’azienda che trasforma l’uomo in bestiame.
“Per sopravvivere, devi essere spietato”, spiega con calma un padre al figlio. E escono i lupi, vestiti con i loro cappucci bianchi e armati di torce, tipo altrettanti spettri o antichi mostriapposti al confine tra luce e tenebre, per mordere meglio chi avrà l’incoerenza di avvicinarsi per riportarli meglio all’umanità.
E il film lo diventa radicalmente nel suo ultimo movimento, dove il sipario della realtà viene squarciato in modo puro e semplice. NMR cade poi nella pura follia, nella sperimentazione, viene finalmente visto come un puro film horror? Un’allegoria? Spetta allo spettatore assumersi la responsabilità di decidere, affrontare una conclusione ipnotica, inaspettata, brutale e soprattutto terrificante. Ciò che Mungiu mostra è l’emergere di ciò che l’umanità ha sempre voluto respingere, contenere lontano dalle sue città, dai suoi campi, dai suoi sogni, una forma di animalità e mostruosità che un vorace e spietato evoca, e la cui comparsa è ormai imminente.