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critica al suicidio artistico di Luc Besson

CASUALE, MALTAZARD

Più di una volta, gli esegeti di Luc Besson hanno visto nelle sue realizzazioni e produzioni l’impronta di un autore, la cui esistenza lascerebbe un’impronta singolare sulle creazioni. Il grande azzurro sarebbe dunque la ricerca di un uomo a parte verso il superamento, Leon sarebbe l’eco non così lontana del suo rapporto con la futura regista Maïwenn, e le figure femminili feticizzate che popolano le sue opere sono tante testimonianze di un rapporto molto particolare con le donne.

Partendo da questo principio per capire Artù, maledizione è di un certo interesse : dare una parvenza di significato al bubbone mucoso che si dispiega mercoledì 29 giugno 2022 in stanze buie.

Dai un’occhiata invece alla decisione di partire!

In questo film, una banda di adolescenti di una realtà alternativa (in cui Arthur e i Minimei sono bei ricordi per un’intera generazione) porta uno di loro in un fine settimana a sorpresa sul set abbandonato del film. Sfortunatamente, il luogo è caduto nelle mani di misteriose creature, più nell’omicidio rituale che nell’interior design. O una rilettura frettolosa e assassina di una delle più grandi produzioni di Europacorp, punta di diamante dell’armata Besson.

Alla fine non importaArtù, maledizione spicca come uno dei film più astrusi, brutti, volgari, sprezzanti e spregevoli scoperti su uno schermo di lunga data. Il risultato non merita l’implacabilità di nessuno, in quanto risulta in tutti gli ambiti e aspetti del cinema una rinuncia indiscutibile. Costituisce, se non una fonte di curiosità, quantomeno un evento notevole per la sua dimensione sacrificale e kamikaze. Tutto, tutto, tutto è finito tra noi, sussurra il produttore.

Distruggimi con il tuo nome

GRADUR E I MINIMERDI

Facciamo scoppiare l’ascesso. Se il film è ufficialmente diretto da Barthélémy Grossman, il caos assoluto che ne governa sia la scrittura che il montaggio rende poco credibile la versione che il tecnico aveva il controllo della compagnia. Se è stato inviato al progetto come boia o Lo stesso Luc Besson decise di bruciare i suoi vasi in un suicidio artistico, Il risultato è lo stesso. Come a dirci meglio che ha finito con la parvenza di requisito che era un tempo suo, il magnate di ieri svela ciascuno dei suoi marchi di fabbrica.

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Regista innamorato della tecnica, capace di innovare e tenere alto il confetto nel cinema americano? Ecco un miscuglio di colpi medi, drogati di false connessioni, accesi nonostante il buon senso, dove sia la macchina da presa che il montaggio tradiscono costantemente un’improvvisazione piromane. Autore preoccupato per il grande pubblico, a contatto con un giovane che ha bisogno di intrattenere le creazioni e di rivolgersi direttamente ad esse? Raramente abbiamo visto un simile allineamento di sporchi cliché, dal nero incapace di esprimersi in francese, al monomaniaco e puzzolente “sfigato”, passando per la candida vergine, promessa di fecondare la principessa peripate, diabolico concetto bessoniano, incarnato qui dalla figlia del produttore.

Arthur: Maledizione: fotoEsci, Jordan Peele, 2017

Tutto, anche nelle qualità di produttore di Besson, un tempo pioniere del genio, persino ispirato distributore, è qui dedicato al rogo. Infine, Artù, maledizione porta l’odio per la sua eredità nel titolo, che all’improvviso sembra una confessione, per lanciarlo meglio allo spettatore a favore di una sequenza finale la cui povertà potrebbe essere un punto di riferimento.

Impareremo l’origine dei piccoli rutti di violenza che smaltano la storia, rivelati da un poliziotto che combatte coraggiosamente con un ictus. “Un film può fare danni”, scivola sapientemente. Come se l’ex-papa del cinema francese, dopo diversi decenni di regno, rigurgitasse sdegnosamente le ultime briciole di un impero travolto da bide e scandali.

Arthur, maledizione: poster francese

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